Uno dei prodotti più ricercati e richiesti dal mercato lattiero-caseario è lo yogurt. Un prodotto con una storia antichissima, riconosciuto come uno dei pochi prodotti consumato dalla prima infanzia fino alla terza età.
“La legge italiana riconosce che possa essere fregiato della denominazione commerciale di yogurt soltanto il latte di vacca fermentato con Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus. La legge italiana prevede inoltre che questi microrganismi siano vivi e vitali (in grado di metabolizzare e moltiplicarsi) fino al momento del consumo. La densità cellulare, definita anch’essa per legge, deve essere uguale o superiore a 10.000.000 di cellule (unità formanti colonia) per millilitro. Tuttavia ciò non toglie che prodotti ottenuti da latti diversi e/o da fermenti diversi, per esempio i fermenti probiotici, possano risultare altrettanto validi sotto un punto di vista gastronomico o nutrizionale. Inoltre questo non vale per i prodotti che vengono dall’estero.” (fonte: Wikipedia).
Con queste premesse, che fungono da rigido prontuario, risulta fondamentale conoscere appieno la microbiologia e la tecnologia di produzione, come ad esempio la fase di fermentazione. L’approccio poco scientifico e spesso superficiale al quale si assiste in molte realtà e la scarsa conoscenza della composizione dello yogurt in aggiunta all’impossibilità di legge di inserire additivi al latte (se il prodotto finale si vuole chiamare yogurt), fanno sì che i prodotti possano mostrare vari difetti. I produttori si trovano a dover gestire le loro produzioni spesso senza sapere come intervenire al meglio.
La prima persona ad osservare la presenza di microrganismi nel latte fermentato fu il microbiologo russo Ilya Ilyich Mechnikov. Egli isolò Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus e riconobbe che questi batteri lattici, lavorando in simbiosi, sono i responsabili del processo di scissione del lattosio. Anche se i pareri sono piuttosto discordanti, oggi, a differenza di quanto mostrato nella maggior parte delle pubblicità, si ritiene che questi due fermenti non svolgano alcun ruolo attivo all’interno dell’organismo umano: essi, infatti, muoiono appena entrano in contatto con i succhi gastrici umani, non sopportandone l’acidità.
Come scritto sopra, la normativa UNI 10358:2016 del 14.01.2016, afferma che lo yogurt debba presentare le seguenti caratteristiche:
“I batteri lattici termofili specifici L. belbruckii subsp. bulgaricus (comunemente noto come L. bulgaricus) e Streptococcus thermophilus, devono essere vivi e vitali, e presenti in quantità totale non minore di 10 milioni per grammo di prodotto finito alla scadenza indicata sulla confezione. In tale quantità di 10 milioni per grammo una delle due specie non deve essere minore di 1 milione per grammo alla scadenza indicata sulla confezione. La coagulazione del latte non deve essere ottenuta con metodi diversi da quelli che derivano dall’attività dei batteri lattici specifici.
L’acidità di fermentazione deve essere maggiore o uguale a 0.7% (m/M) espresso in acido lattico.”
La fermentazione
La temperatura ottimale di crescita di questi batteri varia dai 38-45 °C. Normalmente la durata della fermentazione varia dalla caratteristica dei ceppi utilizzati, dal tipo di innesto e dal livello di acidità desiderato nel prodotto finale.
Il lavoro simbiotico dei due fermenti si esplicita nella produzione di composti che stimolano reciprocamente la loro crescita. Durante la fermentazione, parte del lattosio viene scisso in acido lattico. I due batteri scindono il lattosio nei due esosi che lo costituiscono (glucosio e galattosio). Solamente il glucosio viene scisso in acido lattico che rappresenta gran parte del prodotto della fermentazione. Il glucosio viene metabolizzato velocemente, così da trovare solo minime tracce di questo zucchero nello yogurt. La quantità finale di acido lattico è normalmente compresa tra 0,8% e 1,3% con conseguente abbattimento del pH a valori intorno a 4,0 – 4,5.
Da un punto di vista strutturale, lo yogurt al giorno d’oggi dovrebbe risultare cremoso con leggere note di acidità, ed è compito dello stesso produttore dover ricercare il giusto blend di fermenti che insieme allo specifico trattamento del latte porti il risultato desiderato.
I difetti
Oltre a effervescenze e anomalie di gusto, i difetti più riscontrati in questo prodotto sono:
- la separazione del siero
- l’insorgenza di lieviti e muffe
La separazione del siero, di solito, è da attribuire a vari fattori. Spesso il difetto si presenta a causa di un trattamento termico del latte non idoneo e/o a causa di sbalzi di temperatura durante lo stoccaggio o il trasporto del prodotto finito.
L’ insorgenza di lieviti e muffe dipende spesso dalla presenza degli stessi nell’ambiente in cui viene eseguito il confezionamento. Questa problematica accresce in modo esponenziale e si aggrava ulteriormente se interrotta anche la catena del freddo durante la conservazione e/o il trasporto.
Metodologie di produzione specifiche, soluzioni tecnologiche innovative e piani d’igiene mirati alla prevenzione e cura di eventuali difetti possono oggi eliminare quasi completamente l’insorgere di queste problematiche permettendo il mantenimento di alti standard produttivi e qualitativi.