Uno dei prodotti più redditizi sul mercato lattiero caseario è lo yogurt drink. Gli scaffali dei supermercati della GDO offrono un panorama variegato e ampio di questi prodotti ai quali molto spesso troviamo affiancati una vasta gamma di tipologie di latte fermentato probiotico e latte fermentato non probiotico.
La legge italiana riconosce che possa essere denominato “yogurt” a livello commerciale soltanto il latte fermentato con fermenti vivi e vitali, con una densità cellulare, uguale o superiore a 10.000.000 di cellule (unità formanti colonia) per millilitro. Tuttavia ciò non toglie che prodotti ottenuti da latti diversi e/o da fermenti diversi, per esempio i fermenti probiotici, possano risultare altrettanto validi sotto un punto di vista gastronomico o nutrizionale. Questo porta molto spesso il consumatore a paragonare yogurt drink e latte fermentato, che invece differiscono, non avendo conoscenze tecnologico-casearie adeguate a poter riconoscere le principali caratteristiche di ognuno.
Lo yogurt da bere, conosciuto come yogurt drink, da un punto di vista tecnologico è molto simile a quello che conosciamo come yogurt cremoso. Chiaramente la fase di evaporazione o di concentrazione nella preparazione dello yogurt da bere non è così determinante per dare al prodotto finale corposità, anzi, spesso e volentieri si parte da latte scremato con acqua addizionata.
La fase di fermentazione avviene spesso a temperature più elevate rispetto allo yogurt cremoso, per favorire la crescita di ceppi microbiologici selezionati che producono grosse quantità di acido lattico. L’acido lattico è quel composto necessario al raggiungimento di pH molto bassi nel prodotto.
La fase successiva alla fermentazione prevede che il coagulo venga raffreddato e continuamente mescolato (a livello industriale, ad esempio, spesso si omogeneizza il prodotto a bassissime pressioni), al contrario dello yogurt cremoso, che richiede meno sollecitazioni possibili.
Una volta completata la produzione dello yogurt da bere si passa alla fase di “conditura”; il mercato offre una vasta scelta di gusti di semilavorati da frutta in purea. Il mercato dello yogurt da bere si rivolge principalmente ad un pubblico prettamente giovane, in particolar modo ai bambini, che si rivelano i più grandi consumatori di questo prodotto, a tal punto che fragola, banana e vaniglia diventino i gusti in assoluto più richiesti, mentre quasi assente è lo yogurt drink al naturale, al contrario di quanto si vede nel mondo dello yogurt cremoso dove il gusto naturale occupa una grossa fetta di mercato. Lo yogurt drink è un prodotto anche tipicamente estivo, in quanto la sua tipica acidità unita alla bassa temperatura di consumo (circa 4 °C) dà al consumatore un senso di freschezza e di naturalezza. Questo concetto viene ampiamente sfruttato dall’industria delle bevande che spesso sfruttano l’acidità bilanciandola con edulcoranti al fine di rendere più appetibile al palato il prodotto.
La fase successiva, quella del confezionamento, prevede l’utilizzo di contenitori non-trasparenti:
1) per proteggere il prodotto dalla luce: lo yogurt drink infatti, come la maggior parte dei prodotti derivati dal latte, è fotosensibile e il contatto con la luce potrebbe far ossidare il grasso;
2) per “nascondere” al cliente finale un eventuale difetto: la separazione e il successivo affioramento di panna, poco gradevole agli occhi di un consumatore poco esperto in materia. Questo difetto, molto comune specialmente nei prodotti con aggiunta d’acqua, crea due strati di prodotto all’ interno della confezione rendendo il prodotto poco appetibile da un punto di vista estetico. Il consiglio “agitare il prodotto prima dell’uso” serve proprio a unire nuovamente le due fasi del prodotto.
La shelf-life di questo prodotto è simile a quella dello yogurt cremoso, in media 30 gg e, come per quest’ultimo, a livello artigianale è importantissimo prestare attenzione a non inquinare il prodotto in fase di confezionamento. Risulta a questo proposito fondamentale:
1) lavorare in un ambiente quanto più possibile privo di inquinamento microbiologico;
2) chiudere prima possibile la bottiglia dopo il riempimento in modo da limitare quanto più possibile eventuali contaminazioni microbiologiche;
3) mantenere quanto più possibile la filiera del freddo, immagazzinando il prodotto a 4 °C.
Lo yogurt drink risulta un prodotto facilmente realizzabile ma ad alto potenziale di rischio microbiologico: occorre pianificare la produzione in maniera oculata in modo da poter tenere sotto controllo tutti i punti critici della lavorazione e del mantenimento del prodotto.
Lo yogurt drink rimane dunque uno dei prodotti più semplici da diversificare; vista l’enorme palette di gusti a disposizione, crea un potenziale di vendita importante: teniamo infatti presente che il consumatore su cui far breccia è composto ora un pubblico giovane che crescendo diventerà il cliente abituale di tutti gli altri prodotti lattiero-caseari offerti da caseifici, punti vendita aziendali, aziende agricole.