Nella lista dei 5 formaggi italiani più conosciuti e apprezzati nel mondo troviamo la mozzarella.
Il termine mozzarella deriva dall’operazione di “mozzatura” compiuta manualmente per separare dall’impasto i singoli pezzi durante la lavorazione artigianale, come testimonia anche la sua antica denominazione: “mozza”.
Si tratta di un formaggio unico, di origini antichissime, ma sicuramente quello che negli anni ha avuto la più grande evoluzione sia tecnologica che impiantistica. Due sono le principali caratteristiche che rendono questo formaggio così interessante per gli addetti ai lavori (e non solo):
- l’acidificazione importante del latte, e
- l’operazione di filatura.
Se si può affermare che ogni prodotto lattiero-caseario nient’altro è che un’acidificazione mirata del latte, con l’aggiunta di più o meno ingredienti, la mozzarella è l’unico prodotto in cui si possono sfruttare indipendentemente i tre sistemi di acidificazione per arrivare al prodotto finito:
- acidificazione del latte mediante acidi organici (acido citrico, lattico o acetico);
- acidificazione del latte mediante microrganismi (fermenti ad inoculo diretto);
- acidificazione del latte mediante innesti (siero/lattofermento).
1. L’acidificazione del latte mediante acidi organici è la forma più moderna di produzione. Gli acidi aggiunti al latte refrigerato, sia questo crudo o precedentemente pastorizzato, portano immediatamente il latte al raggiungimento del pH ideale per la filatura della cagliata. Le tempistiche di lavorazione in questo modo si accorciano notevolmente, i prodotti che ne derivano hanno tendenzialmente sapore di latte e sono poco aromatici. A livello industriale per abbassare il pH, oltre ad acidi organici, vengono usati prodotti quali l’anidride carbonica o il beta-gluconolattone.
2. L’utilizzo di microrganismi selezionati, come anche l’uso di acidi organici, aiuta il processo di standardizzazione della lavorazione. I prodotti ottenuti mediante l’uso di fermenti, a differenza di quelli ottenuti per acidificazione chimica, danno prodotti molto più aromatici e caratteristici, a discapito però dell’allungamento della lavorazione, infatti per questa tipologia di prodotto sono i microrganismi a dover produrre l’acido lattico dal lattosio presente nel latte che porterà ad un abbassamento dell’acidità fino al raggiungimento del pH di filatura.
3. La forma più originale per la produzione delle mozzarelle è l’acidificazione del latte mediante lattoinnesto o sieroinnesto. Quest’ultima modalità per esempio è prevista per la produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. I prodotti che ne risultano sono particolari: oltre ad una variegata carica aromatica, ogni sito di produzione ha innesti diversi e questo spiega i vari sapori del prodotto finito anche partendo da latte identico. L’innesto però è un ingrediente che va gestito sapientemente e usato in modo molto preciso. Se per cagliate ottenute mediante acidi organici il momento di filatura può essere gestito in modo approssimativo, per le paste ottenute mediante acidificazioni microbiologiche il momento in cui filare diventa fondamentale per la riuscita o meno del prodotto desiderato. Come per i fermenti poi, se l’operatore non è attento o non si rispettano determinate pratiche, il rischio di batteriofagi è molto alto.
Va fatto notare che, a differenza del metodo di produzione mediante acidificazione con acidi, dove il lattosio presente nel latte non subisce processi di fermentazione, nei prodotti fermentati parte del lattosio viene metabolizzato dai fermenti lattici, dando così dei prodotti con un contenuto inferiore di lattosio.
Esistono inoltre sistemi di produzione che prevedono delle tecniche miste di acidificazione: per esempio si può acidificare il latte solo parzialmente mediante acido citrico o lattico e successivamente aggiungere fermenti lattici; questi prodotti, accorciando il tempo di produzione di una classica mozzarella ottenuta con l’uso dell’innesto, hanno un gusto più pronunciato di un classico prodotto ad acido citrico.
Un’ultima curiosità riguarda un mito da sfatare: quello dell’effetto di pastorizzazione del latte dovuto alla filatura. Ancora oggi infatti tanti operatori lattiero caseari sono convinti che, anche partendo da latte crudo non trattato termicamente, l’operazione di filatura porti il prodotto a temperature tali da garantire una pastorizzazione di quest’ultimo. Purtroppo non è così. Se si vogliono ottenere prodotti con elevata umidità all’interno e di conseguenza morbidi, la temperatura al cuore del prodotto non supererà mai i 63/64 °C e a queste temperature non si può avere un abbattimento sostanziale della carica batterica. Altresì è importante raggiungere temperature superiori ai 60 °C per avere una denaturazione completa della sostanza coagulante onde prevenire proteolisi che portano a rammollimenti interni al prodotto.