Nella preparazione del gelato artigianale italiano l’ingrediente fondamentale dovrebbe essere il latte. O meglio, lo è sicuramente quando si parla di dosi in bilanciamento, per quanto riguarda invece la sua tipologia spesso è il prodotto meno preso in considerazione dal gelataio.
Fonte di acqua, zucchero, grassi e proteine, il latte è ingrediente principe nel bilanciamento di basi bianche e gialle assieme al suo derivato principale, la panna. Il latte rappresenta circa dal 55% al 70% del peso in un fiordilatte. Solo per questo motivo la qualità del latte dovrebbe essere fondamentale.
Chi si addentra e cimenta nel mondo della produzione del gelato sa che l’industria predilige l’uso di latte in polvere ricostituito. Questo per motivi di stabilità nella miscela del gelato, ma soprattutto anche per motivi logistici. Per preparare l’equivalente di una motrice di latte (30.000 litri) si usano circa 4.000 kg di polvere che, confezionata in sacchi da 25 kg, occupa più o meno lo spazio di 2 Euro-pallet a fronte di un rimorchio le cui dimensioni sono note a tutti.
Per la produzione del gelato artigianale, si sceglie invece il latte fresco o UHT. Il latte UHT, essendo confezionato in asettico, ha una scadenza di mesi anche conservato a temperatura ambiente, per cui tante gelaterie che hanno poco spazio di stoccaggio optano per questa tipologia. O forse si sceglie perché costa meno del latte fresco?
Se quindi il gelatiere opta per un latte fresco, si rifornisce sempre di latte fresco pastorizzato e standardizzato dalle centrali. Un latte con un contenuto costante di grasso permette al gelatiere di calcolare una volta sola il bilanciamento della sua ricetta. Sappiamo che la legislazione italiana prevede per il latte intero un tenore minimo di 3.5% di grasso, calcolando poi che in un gelato artigianale i grassi totali non superano quasi mai il 10%, più sarebbe ricco il latte e meno panna (in alcuni casi anche grassi vegetali, spesso anche idrogenati) si potrebbe aggiungere.
Si opta quindi per un latte standardizzato in grasso per facilitarne la bilanciatura ma non si tiene in considerazione la variabile nel contenuto proteico.
In un bilanciamento, si aggiunge latte magro in polvere (LMP) per standardizzare le proteine e panna per standardizzare i grassi. Sappiamo che le variazioni sia di grasso che di proteina durante la lattazione, nelle stalle gestite in modo corretto, non sono poi così elevate.
Altra cosa importantissima da considerare sono i trattamenti termici. Un latte che arriva in gelateria subisce comunque una seconda “pastorizzazione” per la preparazione della base. Si riscalda il latte per sciogliere zuccheri, grassi, stabilizzanti e proteine e tutti quegli ingredienti fondamentali per la preparazione del gelato. Il latte quindi subisce ben due trattamenti termici, e chi è appassionato di latte sa che meno lo si riscalda e meglio è, poiché si rischia di intaccare le sieroproteine che, nel gelato, proprio per il loro potere addensante, sono importantissime; inoltre, con il trattamento termico si attiva la reazione di Maillard che dà poi al latte il tipico sapore di “cotto”.
Solo il latte in polvere ricostituito può essere visto come unico latte veramente standardizzato perché anche quello fresco pastorizzato è solo titolato in grasso, ma non in proteine. Allora perché non usare del latte direttamente dal produttore?
Vari paletti sia burocratici che logistici rendono questa operazione assai difficoltosa, ma sicuramente affrontabile. Non si dica che si sceglie un latte già pastorizzato per il suo standard di composizione perché non è così.
Usare del latte direttamente dal produttore porterebbe al gelatiere non solo un risparmio economico, ma anche un valore aggiunto in comunicazione. Alcuni produttori stanno iniziando a produrre non più gelato artigianale, bensì un gelato che si potrebbe chiamare agricolo, usando materie prime direttamente dal produttore per creare un prodotto completamente differente da quello che si trova in commercio.
Purtroppo alcune persone del settore dicono che la qualità del latte, in fondo, nel gelato non è poi così importante, visto che il prodotto viene conservato e consumato a temperature negative (-10°C/-18°C) e a queste temperature comunque il gusto o la particolarità del latte non si nota.
A mio avviso, la particolarità non si nota e non si noterà mai se il latte invece di essere considerato per quello che è, ingrediente fondamentale e caratterizzante del prodotto finito e quindi esaltato sia nelle preparazioni che nella comunicazione al cliente finale, verrà visto come un semplice costo di un ingrediente nel calcolo del food cost.
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