La qualità della materia prima, insieme all’ambiente di lavorazione e alla professionalità delle persone che ci lavorano, è uno dei tre pilastri più importanti nel settore lattiero-caseario. Ma mentre i luoghi di trasformazione e gli operatori sono presumibilmente gli stessi e non sono soggetti a cambiamenti giornalieri, questo non è mai vero per il latte. I vecchi casari lo sanno bene tanto da affermare spesso che “il latte è bianco ogni giorno, ma ogni giorno diverso”.
Se si esamina il latte, indipendentemente dalla specie di animale che lo produce, vi si trova:
- acqua pari circa all’85% del prodotto,
- grasso tra il 2.5% e 9%,
- proteina totale tra il 2.5% e 7%,
- lattosio pari a circa 5%,
- sali minerali.
Ciò che però rende complesso questo prezioso alimento è lo stato chimico/fisico in cui questi componenti si trovano in relazione, ovvero:
- in soluzione vera: sali, vitamine idrosolubili (quindi escluse A, D, E e K), sostanze non proteiche e zuccheri;
- in stato colloidale: proteine, parte dei fosfati e citrati di calcio;
- in fine emulsione: lipidi e vitamine liposolubili (A, D, E e K).
Questo equilibrio delicatissimo varia non solo in base alla temperatura ma anche in base alla stagione e all’acidità. Capire come comportarsi davanti ad una determinata tipologia di latte è la base per una produzione di buona qualità.
I parametri chimici che determinano la qualità del latte per la trasformazione sono inoltre: la densità, l’acidità, il punto crioscopico e il pH.
Se poi si considerano i parametri analitici, anche la viscosità, la tensione superficiale, la pressione osmotica, il punto di ebollizione, l’indice di rifrazione possono influenzare la qualità del latte.
Oltre ai parametri suddetti, la materia prima va valutata anche in base alle sue caratteristiche microbiologiche: la conta delle cellule somatiche è un indice importantissimo per la classificazione del latte (come previsto per legge) così come verificare l’assenza di antibiotici.
Ma gli altri batteri? Il legislatore parla di una concentrazione inferiore a 100.000 ufc/ml nel latte crudo vaccino e inferiore a 500.000 ufc/ml per quello di altre specie se il latte è destinato alla trasformazione in prodotti lattiero-caseari. Si tratta della CBT (conta batterica totale).
Il casaro deve consocere e sapere interpretare l’indice della CBT poiché se i batteri da una parte sono i suoi migliori alleati, dall’altra possono essere anche anche acerrimi nemici. Della carica batterica totale del latte è quindi fondamentale conoscere l’attività fermentativa data dal numero dei batteri lattici piuttosto che la conta dei batteri anticaseari.
Un latte con una bassa carica batterica totale per certe lavorazioni è addirittura compromettente: si pensi alle lavorazioni a latte crudo tradizionali che un tempo venivano eseguite senza alcun impiego di fermenti o innesti e che invece al giorno d’oggi sono di difficilissima produzione, dato che anche il latte in alpeggio ha carica batterica bassissima che non acidifica in modo corretto.
Tuttavia non bisogna pensare che un latte con carica batterica elevata sia un buon latte!
Più che un latte sterile o acido, al trasformatore deve interessare che un latte sia maturo. Va da sè che la linea di confine è molto sottile e che il prodotture di latte ben poco può fare per aumentare la flora lattica primaria nel latte mentre il caseificio con le tecnologie esistenti, può “prepararsi” il latte con una determinata flora batterica in grado di dare ai propri prodotti un tocco esclusivo e riconoscibile al palato.
In tal senso, al fine di correggere o sfruttare al massimo la qualità del latte, la tecnologia lattiero-casearia negli anni ha fatto passi da gigante: trattamenti termici o di filtrazione, coagulanti sempre più puri e stabili e una ceppologia di fermenti infinita assieme a tutti gli additivi e coadiuvanti tecnologici hanno dato in mano all’operatore delle armi molto incisive per il miglioramento delle lavorazioni, anche se resta indiscutibile che la qualità della materia prima è e sarà sempre l’indicatore primario per produzioni di qualità, specialmente quelle artigianali.
In sintesi, un buon latte per la trasformazione casearia dovrebbe rispettare i seguenti requisiti:
- residuo secco magro elevato;
- assenza di patogeni e antibiotici;
- elevata % di grasso e proteine;
- attitudine fermentative.
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