Le immagini dei pastori sardi che gettano via il latte dei loro animali hanno fatto il giro web e hanno ottenuto una risonanza mediatica importante. Si è trattato di una comunicazione di forte impatto emotivo che ha riaperto l’annoso tema del prezzo del latte alla stalla, talmente basso da non riuscire nemmeno a coprire i costi di produzione, tanto da portare a buttare per strada il frutto del proprio lavoro.
Il messaggio dei pastori è un grido esasperato, forte e chiaro: o ci viene riconosciuto un prezzo maggiore, oppure meglio smettere di produrre latte!
Le reazioni sono state immediate: è in corso una trattativa che coinvolge i pastori, la Regione Sardegna, lo Stato, le industrie casearie e le banche, che sta assestando il prezzo minimo al litro a 72 centesimi ma con l’obiettivo nel medio termine di raggiungere 1 euro al litro.
Quello che è accaduto, è il segno di un sistema agroalimentare che è sempre meno sostenibile e che vede aumentare la sofferenza della parte agricola, in questo caso gli allevatori.
C’è da chiedersi però se queste misure rimarranno (come probabile) solamente azioni tampone oppure se potrebbe esistere, al contrario, un nuovo modello di sviluppo più sostenibile della filiera, nel caso specifico del formaggio ovino, in grado di valorizzare la peculiarità delle produzioni dei territori e delle tradizioni locali.
Questo significa far conoscere le eccellenze alimentari uniche che solo il nostro Paese può vantare e renderle riconoscibili e distintive sul mercato.
Se quindi da una parte la tutela del vero Made in Italy nei mercati europei, e soprattutto internazionali, rappresenta una misura indispensabile, nell’immediato il contadino, l’allevatore, può e deve adoperarsi per diventare un vero e proprio imprenditore. Una delle strade per generare più reddito dal latte ovino, per esempio, è quello di organizzarsi per trasformarlo direttamente (singolarmente o in maniera aggregata con altri allevatori), creare un prodotto unico e particolare e individuare nuovi sbocchi commerciali, anche di vendita diretta che gli consentano di raccontare e valorizzare i propri formaggi.
Gli strumenti per intraprendere questo percorso esistono: la legge sulla multifunzionalità consente alle imprese agricole di trasformare, vendere e somministrare i propri prodotti, oltre al fatto che esistono aiuti regionali ed europei che vanno in questa direzione.
Dall’altra parte improvvisarsi casari non è consigliabile: occorre conoscenza del mestiere per avere successo. Per questo, abbiamo chiesto proprio a Mirko Galliani, direttore dell’Accademia Italiana del Latte, che cosa ne pensa:“Dal punto di vista tecnico e tecnologico, il latte ovino, per sua composizione, è uno dei prodotti che più si presta ad una diversificazione nel mondo lattiero-caseario. Essendo ricco di proteine e grasso, è sicuramente un latte che offre rese casearie e quindi redditività elevata per chi lo trasforma. O meglio, per chi sa come trasformalo in prodotti che il mercato sta chiedendo.
Dal più comune yogurt cremosissimo e di sapore pieno, ai formaggi molli, prodotti sempre più apprezzati dal consumatore per freschezza e neutralità di sapore, fino al recupero o valorizzazione di scarti di pecorino stagionato per la creazione di creme spalmabili o formaggi fusi, il latte di pecora non è solo Pecorino Romano!
La cosa importante rimane quella di non ripetere gli errori del passato: chi in questo momento sta seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di diventare un imprenditore del latte, accantonando in parte il lavoro di allevatore per di iniziare un percorso che porterà a diventare produttori e venditori, non può improvvisarsi.”
E’ chiaro quindi che nulla deve essere lasciato al caso e una ponderata formazione in materia di trasformazione potrà essere uno dei tasselli vincenti nella buona uscita del percorso imprenditoriale, in grado di valorizzare il latte e la fatica dei pastori e di avviare un nuovo modello sostenibile e multifunzionale di imprenditoria agricola.